Catcalling: quando la strada smette di essere neutra
Cammini per strada, h ai in testa il lavoro, un messaggio e la lista della spesa; all'improvviso un fischio - un «Ehi bella!» - ti piomba addosso come un gancio. Non è un saluto. Non è cortesia. È un'interruzione: ti ricorda, anche per un istante, che il tuo corpo può essere commentato, giudicato, messo in mostra da chi passa.
Questo è il catcalling: una molestia verbale in luogo pubblico. Fischi, baci sonori, commenti sessuali non richiesti, battute volgari, sguardi insistenti o brevi inseguimenti. Non serve il contatto fisico per sentirsi violata; basta la sensazione di essere esposta, privata della libertà di camminare in pace.
Le leggi che non pronunciano il nome
La sorpresa arriva quando cerchi protezione e scopri che la parola catcalling non compare nelle normative.
In Italia l'unico appiglio è l'art. 660 c.p., che punisce chi arreca "molestia o disturbo" in luogo pubblico: una norma pensata per la tranquillità collettiva più che per tutelare la dignità individuale. Di conseguenza, un fischio isolato o un complimento volgare difficilmente diventano oggetto di un procedimento penale. Solo quando le condotte sono ripetute, ossessive e provocano ansia o paura, può scattare la fattispecie più grave dello stalking (art. 612-bis c.p.). È come se la legge dicesse: «Sopporta un episodio; se diventa un inferno quotidiano, allora interveniamo».
Anche in Cina non esiste una norma dedicata con quel nome. Gli episodi molesti vengono spesso ricondotti a violazioni dell'ordine pubblico: strumenti amministrativi (multe, brevi detenzioni) intervengono per ripristinare il decoro sociale. Un singolo episodio può essere sanzionato come disturbo alla collettività, ma raramente viene inquadrato come lesione della dignità personale nella stessa misura in cui se ne discute in un dibattito sui diritti.
Il risultato, in entrambi i contesti, è paradossale: ciò che nella vita quotidiana pesa - il fastidio, l'ansia, le rinunce - rimane spesso un'offesa "minore" per la legge. Eppure ogni fischio è una crepa nella libertà di muoversi senza paura.
Voci che si alzano, silenzi che pesano
In Italia il fenomeno è ormai parte del dibattito pubblico. Le vittime hanno cominciato a raccontare: raccontano imbarazzo, rabbia, decisioni quotidiane dettate dalla prudenza (cambiare strada, non uscire a certe ore, vestirsi in un modo piuttosto che in un altro). Campagne come Catcalls of Italy, che scrivono a gessetto le frasi moleste sui marciapiedi, rendono visibile ciò che troppo spesso resta invisibile. Parlare significa tracciare un confine: nominare la molestia la trasforma da fatto privato e sminuito in problema sociale.
In Cina il registro pubblico è diverso. Il termine inglese è poco usato; si parla più spesso di 骚扰 - un concetto che ingloba varie forme di molestia o di comportamento incivile - e la reazione tende a stigmatizzare l'autore come "incivile" piuttosto che a evidenziare il vissuto della vittima. Episodi clamorosi possono diventare virali e scatenare condanne sociali, ma spesso è necessario fare "rumore" online perché le autorità prestino attenzione. Così, anche dove la pubblica opinione condanna, il riconoscimento del danno psicologico e della limitazione di libertà rimane sullo sfondo.
Culture allo specchio
Le differenze hanno radici culturali. In Italia esiste un retaggio . il cosiddetto «pappagallismo» mediterraneo - che per anni ha tollerato atteggiamenti rozzi spacciandoli per folklore o galanteria. Negli ultimi anni il femminismo e il movimento #MeToo hanno accelerato la trasformazione: ciò che prima si sorrideva ora si chiama per nome.
In Cina, tradizioni che enfatizzano la misura e il decoro pubblico fanno sì che esibizioni di affetto o comportamenti espliciti siano considerate maleducazione. Perciò, quando il fenomeno viene raccontato, è spesso descritto come violazione del decoro piuttosto che come violazione di diritti individuali. Nonostante la diversità di linguaggi e inquadramenti, la conseguenza pratica è simile: chi subisce si sente interrotta, osservata, privata di uno spazio neutro.
Lo dico anche da vittima
Non parlo solo da osservatrice: lo dico anche da vittima. Ogni fischio mi ruba un pezzo di tranquillità. Ogni commento non richiesto è una piccola erosione della mia libertà quotidiana. Non è mai un complimento: è un'interruzione, una pressione che insegna a camminare con prudenza e a pensare a percorsi alternativi, a orari diversi, a strategie di sopravvivenza. È un piccolo furto che si somma giorno dopo giorno.
Piccole chicche per resistere
Il catcalling non è un destino. Ci sono modi, piccoli ma reali, per difendersi e per cambiare l'aria che respiriamo ogni giorno. Nessuna donna dovrebbe sentirsi sola, nessuna deve pensare che «esageri».
Per chi lo subisce:
- Non colpevolizzarti: il problema non sei tu, ma chi molesta. Non sentirti in dovere di cambiare abiti o percorso;
- Segna un confine: se ti senti al sicuro, rispondi con un «Basta» o «Non è un complimento». A volte una frase secca smonta l'aggressore;
- Cerca supporto: parlane con qualcuno di fiducia. Condividere l'esperienza evita di portarne il peso da sola;
- Tieni traccia: annota luoghi, date, eventuali testimoni. Potrà essere utile per un'eventuale denuncia;
- Usa i numeri di aiuto: in Italia il 1522 è attivo 24/7, gratuito e anonimo. In Cina il numero d'emergenza è il 110.
Per chi assiste:
- Intervieni in modo sicuro: anche solo avvicinarsi alla vittima o fare da testimone può interrompere l'episodio;
- Mostra sostegno: un gesto di vicinanza dopo l'episodio può fare la differenza.
- Parlarne a casa e a scuola: educare i bambini e i ragazzi al rispetto dei confini altrui fin dall'infanzia è la vera prevenzione.
- Normalizzare la denuncia: rendere chiaro che molestare non è "corteggiare male", ma violare la libertà dell'altro.
- Spingere per regole e pratiche migliori: codici di condotta nei luoghi di lavoro, formazione obbligatoria e campagne di sensibilizzazione nelle città possono cambiare la cultura.
Camminare libere: il diritto di non essere interrotte
Che lo si chiami catcalling o si parli di molestia in luogo pubblico, resta un gesto che pesa: camminare non dovrebbe essere resistenza. Ogni fischio, ogni commento non richiesto, è una piccola violazione della libertà personale — e la somma di quelle piccole violazioni produce paure grandi. Per questo parlarne non è un vezzo: è un atto politico e personale. È dire che la strada appartiene a tutte e a tutti, e che nessuno ha il diritto di renderla ostile.
«Per la maggior parte della storia, Anonimo era una donna.»
Cit. Virginia Woolf
Ringraziamenti
Voglio esprimere tutta la mia gratitudine all'Avv. Marianna Negro, la cui guida e il cui supporto stanno illuminando il mio percorso da praticante avvocato. Ogni consiglio, ogni parola di incoraggiamento mi ha fatto sentire più sicura, più pronta a crescere e a mettermi alla prova. Avere accanto una persona così competente, paziente e umana è un vero dono, e sento di imparare non solo il diritto, ma anche cosa significhi essere un Avvocato con passione e integrità.
Dott.ssa Cinzia Hu